Si parla tanto, al giorno d'oggi, di architettura ecosostenibile, bioclimatica, solare e chissà quali altri aggettivi che, probabilmente, possono essere riassunti in tre parole: materiali semplici e naturali.
Nel 2014 l'architettura sostenibile, la raccolta differenziata, il tentativo disperato di non far allargare ancora di più questo famosissimo buco nell'ozono, sono argomenti trattati e ritrattati, di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno parlato o anche solo sentito parlare mentre qualcun altro ne discuteva. Negli anni '30, però, non deve essere stata la stessa cosa.
L'architettura di quel periodo vedeva il grande sviluppo del cemento armato, preferito a materiali naturali come la pietra per le sue qualità strutturali ma, soprattutto, per la possibilità di bypassare quel difficile e faticoso processo di lavorazione che rendeva (e rende) il materiale lapideo così pregiato e, di conseguenza, costoso.
Nonostante questo ambiente "culturale", nel 1935, il genio di Frank Lloyd Wright decise di dare una possibilità ai materiali naturali, di inserire un'edificio nella natura non calandolo semplicemente dall'alto, ma integrandolo con essa, senza sconvolgere il paesaggio. Stiamo parlando della famosissima casa sulla cascata, quello stesso edificio che, nel 1991, l'American Institute of Architects ha nominato, a giusta ragione, "la migliore architettura americana di ogni tempo".
Evidentemente già Edgar J. Kauffman si era reso conto dell'acuto ingegno dell'architetto a cui aveva deciso di affidare i lavori di progettazione della sua nuova "casa sulla cascata". Kauffman, infatti, ricco e dotto commerciante di Pittsbourgh, decise di lasciare campo libero all'artista Wright, offrendogli il sito su cui erigere l'edificio come se fosse una pagina bianca in attesa di un suo schizzo. Si trattava di un terreno ubicato nella foresta della Pennsylvania occidentale, un luogo dove la mano dell'uomo non era ancora arrivata a stravolgere la bellezza della natura. In questo contesto Wright volle inserire un edificio che, appunto, non sconvolgesse l'armonia naturale ma ne entrasse a far parte. Sulla base di questo principio nacque la casa sulla cascata.
Organizzata su tre livelli differenti, l'abitazione, ancora in ottimo stato grazie ai restauri degli anni Novanta, prevede una serie di terrazzamenti che fanno da velo al ruscello insinuatosi tra le mura dell'edificio. Le terrazze, con il loro coraggiosi aggetti e le loro tonalità che riprendono la stratificazione cromatica della roccia locale, sono state pensate per sembrare delle insenature naturali dove l'acqua si infrange e genera delle piccole ma spettacolari cascate.
Il cemento è il materiale scelto per assolvere all'importantissimo ruolo strutturale che degli sbalzi di queste dimensioni si trovano a dover svolgere. Il color albicocca è la tinta scelta da Wright per far sì che il cemento si mimetizzasse nel paesaggio circostante. La pietra locale è l'elemento utilizzato per rendere quanto più possibile naturale e organica l'intera struttura.
Anche per l'interno Wright non si è discostato molto dall'esterno.
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Fatta eccezione per il livello inferiore che, ospitando gli impianti e gli ambienti di servizio, ha più che altro una funzione basamentale nei confronti dell'intero edificio, la zona più "vivibile" della casa, quella che comprende soggiorno, sala da pranzo, cucina e zona notte, riprende nei concetti, ma con declinazioni diverse, le scelte effettuate per l'esterno. Rivestimenti in pietra e arredi in legno sono gli elementi predominanti in una successione di spazi dove nessun elemento, neppure il più piccolo, viene lasciato al caso. Ampie vetrate si aprono sulla natura che circonda la casa, creando quasi l'illusione di essere in comunione con essa, senza nessuno schermo che separi chi si trova all'interno da quello che c'è all'esterno.
Gli ampi terrazzamenti permettono di godere appieno dello spazio aperto, oltre a generare un piacevole chiaroscuro in grado di animare e impreziosire i prospetti dell'abitazione.
Le terrazze: tasto dolente per il povero Wright eppure, al tempo stesso, importantissimi elementi per l'edificio. I profondi aggetti e le dubbie capacità del cemento di sopportare una sollecitazione simile crearono, all'epoca della realizzazione, non pochi contrasti tra Wright e gli ingegneri, i quali dubitavano fortemente che la struttura fosse sufficientemente stabile. Chiamatelo pazzo, testardo o, semplicemente, genio, ma Wright decise di non piegarsi ad una serie di numeri e di seguire il suo istinto. Fece realizzare le terrazze così come le aveva progettate e, per dimostrare a tutti la sua sicurezza, quando gli operai iniziarono a rimuovere le cassaforme e i puntoni, l'architetto si fermò esattamente sotto la terrazza di dimensioni maggiori, rischiando di essere schiacciato dal peso del cemento nel caso di un eventuale cedimento. Wright vinse la sfida, perché le terrazze da lui disegnate fecero al loro creatore il regalo di non crollare. Dopo non molto tempo, si resero necessari degli interventi utili a rinforzare la struttura, ma, intanto, Wright aveva vinto la sua scommessa e dato uno schiaffo morale agli ingegneri che non credevano nella sua abilità.
Attualmente questo capolavoro dell'architettura contemporanea è, grazie al testamento di Edgar Kaufmann Jr., un bene pubblico, dal momento che il proprietario la donò alla Western Pennsylvania Conservancy.
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"...Se ascolti il suono di Fallingwater ascolti la quiete della campagna...". Queste sono parole pronunciate dallo stesso Wright per descrivere il suo progetto come l'esito di una perfetta e tanto ricercata sintesi tra intervento dell'uomo e libertà della natura, tra una costruzione artificiale e la naturalezza di acqua, rocce, foglie e tronchi, tutti elementi che, in un certo senso, fungono anch'essi da arredamento di quella silenziosa e straordinaria casa sulla cascata.
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