mercoledì 25 novembre 2015

Il centro sociale in tessuto e cemento costruito dalle donne cambogiane

Il centro sociale in tessuto e cemento costruito dalle donne cambogiane: Costruire insieme alla gente comune, alla popolazione in difficoltà, a chi si renda disponibile al co-working anche nel campo dell’edilizia si può,...

mercoledì 18 novembre 2015

Il design minimal dei 2000: lo stile figlio del suo tempo

Sembra strano parlare di edilizia, di architettura e di arredamento in un periodo in cui, soprattutto in Italia, il settore è in piena crisi. Si potrebbe dire che è quasi fermo, ma cerchiamo di non fare troppo i pessimisti e limitiamoci a dire che la gente tende sempre meno a spendere il proprio denaro per ristrutturare la casa o per cambiare i mobili.
Eppure il settore dell'arredamento e quello del design continuano a crescere, a ideare, a creare. Continuano a proporre prodotti sempre nuovi, destinati a rendere, per quel che si può, un po' più piacevole una vita troppo spesso intaccata dagli eventi che ci circondano. Tra il lavoro e i suoi alti e bassi e le notizie di cronaca che lasciano calare una vera e propria angoscia nel cuore, la casa diventa l'unico vero rifugio, fisico e psicologico, per chi vuole concedersi qualche piccolo istante di serenità, lontano da tutto quello che, purtroppo, la vita odierna spinge violentemente all'interno delle nostre giornate.
E' per questo motivo che l'arredamento di una casa è importantissimo per rendere ogni ambiente veramente accogliente e piacevole da vivere. Le nuove tendenze si orientano sicuramente verso uno stile sobrio, pulito e leggero. La linearità e l'essenzialità sono le parole chiave di uno stile minimalista che niente ha a che vedere con quella mobilia antica, ricca di intarsi, decorazioni, elementi superflui a volte anche non proprio piacevoli da vedere.
I mobili in stile minimal sono la vera tendenza che sta spopolando su web, riviste, progetti e aziende. Anche la semplicità ha il suo design, e si vede! Le forme cubiche di armadi, pensili, tavoli, sono incorniciate in modo da definire precisamente lo spazio. La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un sistema in cui ogni cosa è al posto giusto perchè ogni cosa è legata ad una precisa regola geometrica. L'ordine sembra vincere il disordine della nostra vita, le regole dello spazio sembrano contrastare nettamente con il mondo senza regole che si sta pian piano formando intorno a noi.
Credo fortemente che anche il design e l'arredamento siano figli del tempo che vivono. Ecco perchè lo stile mimimal degli anni 2000 è praticamente privo di tutto: niente maniglie, niente decorazioni, niente riquadri. Solo essenzialità, solo sostanza, solo materia. Sono queste le cose che si dovrebbero vedere, anche nella vita quotidiana. L'arredamento sembra voler invitare tutti a riflettere su quello che accade, sembra voler urlare: "Lasciate perdere le cose superflue. Cercate di costruire qualcosa con semplicità, ma costruite qualcosa!". La costruzione della forma si contrappone alla distruzione che dilaga sul pianeta.
Del resto il design è arte. E l'arte è sempre figlia del tempo in cui si sviluppa.

lunedì 29 settembre 2014

La paglia, il materiale del futuro

Mi scuso, prima di tutto, per la mia lunga assenza; impegni improrogabili mi hanno costretta ad una distanza forzata dal computer e dal blog. Durante questo periodo di "pausa" ho avuto diverse chiacchierate stimolanti con persone più o meno esperte nel settore dell'architettura che mi hanno aperto la mente a nuove riflessioni. 
"Sai che ci sono dei veri e propri workshop durante i quali si realizzano case in paglia?". Da questa domanda la mia mente ha iniziato a vagare. Sapevo dell'esistenza di queste associazioni che si impegnano a sostenere chi è interessato a questa tecnica costruttiva e si dedicano alla trasmissione delle conoscenze pratiche e teoriche che riguardano l'utilizzo di questo materiale per erigere intere abitazioni. Avevo letto molto a riguardo durante i miei studi.
"Quindi il porcellino che ha fatto la casa di paglia ha preso la decisione migliore". La mia risposta voleva essere una battuta, ma se ci pensiamo bene quando eravamo piccoli sicuramente tutti abbiamo sentito parlare del povero porcellino che si è costruito la casa in paglia come uno sprovveduto che non aveva pensato alla possibilità di veder distrutta la propria abitazione con una semplice folata di vento. 
Non so quanto sia vecchia questa storia. Wikipedia mi dice che la sua pubblicazione risale al 1843, perciò prendiamo questa data per buona. A distanza di centosettanta anni, chi poteva immaginare che il porcellino in questione avrebbe visto la sua "invenzione" prendere piede e la gente abitare in quella abitazione definita troppo fragile da chi ha scritto la storia?
E invece è proprio così. Dopo aver fatto notare al mondo della bio-architettura le fantastiche proprietà della paglia dal punto di vista dell'isolamento acustico e termico, dopo aver sottolineato la facilità di reperire materiale e il suo carattere interamente bio, dopo aver mostrato al mondo intero che il suo abbinamento con intonaci e malte ricavate esclusivamente da prodotti che ci regala Madre Natura, finalmente la bio-architettura della paglia sta iniziando a diffondersi anche in Italia. L'esempio lampante è la casa di paglia realizzata a Roma, in zona Quadraro, dall'associazione BAG - Beyond Architecture Group. Un gruppo di giovani architetti e ingegneri ha creduto in questo nuovo materiale e, durante una serie di workshop dedicati a diversi argomenti legati alla costruzione in paglia, ha dato vita a una vera e propria abitazione, la prima casa urbana in paglia presente in Italia. 
Per il nostro Bel Paese, dove le norme antisismiche si ostinano a promuovere in modo spropositato l'uso del cemento armato (la cui composizione non è sempre così corretta da assicurarne la stabilità), la sostituzione del materiale lapideo con la paglia rappresenta una vera e propria novità. E pensare che in altri paesi europei, principalmente quelli più poveri, dove le costruzioni vengono realizzate con materiali "di fortuna", le abitazioni in paglia sono ormai una prassi consolidata. 
Scheletro in legno, balle di paglia pressate, composto di argilla e acqua per compattare e intonaco naturale: sono questi gli ingredienti che compaiono nella ricetta per una semplicissima ma efficiente casa in paglia che, oltre a limitare i costi relativi all'acquisto del materiale, permette di abolire anche quelli legati alla manodopera. La tecnica costruttiva, infatti, è così semplice da rientrare nella prassi dell'autocostruzione; non è necessario l'intervento di personale specializzato, ma possono essere gli inquilini stessi a ideare, realizzare e completare il progetto della propria casa. 
Temo che in Italia bisognerà aspettare ancora molto tempo perché questo tipo di architettura, che, con una sorta di ossimoro, si può definire innovativa guardando al passato, prenda piede. Speriamo che le numerose associazioni che stanno nascendo anche nel nostro Paese riescano a crescere, diffondendo sempre di più questa lingua così difficile da capire per chi potrebbe decidere di dare una svolta a un settore fermo da troppo tempo!

lunedì 28 luglio 2014

La casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright: architettura ecosostenibile negli anni '30

Si parla tanto, al giorno d'oggi, di architettura ecosostenibile, bioclimatica, solare e chissà quali altri aggettivi che, probabilmente, possono essere riassunti in tre parole: materiali semplici e naturali.
Nel 2014 l'architettura sostenibile, la raccolta differenziata, il tentativo disperato di non far allargare ancora di più questo famosissimo buco nell'ozono, sono argomenti trattati e ritrattati, di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno parlato o anche solo sentito parlare mentre qualcun altro ne discuteva. Negli anni '30, però, non deve essere stata la stessa cosa. 
L'architettura di quel periodo vedeva il grande sviluppo del cemento armato, preferito a materiali naturali come la pietra per le sue qualità strutturali ma, soprattutto, per la possibilità di bypassare quel difficile e faticoso processo di lavorazione che rendeva (e rende) il materiale lapideo così pregiato e, di conseguenza, costoso.
Nonostante questo ambiente "culturale", nel 1935, il genio di Frank Lloyd Wright decise di dare una possibilità ai materiali naturali, di inserire un'edificio nella natura non calandolo semplicemente dall'alto, ma integrandolo con essa, senza sconvolgere il paesaggio. Stiamo parlando della famosissima casa sulla cascata, quello stesso edificio che, nel 1991, l'American Institute of Architects ha nominato, a giusta ragione, "la migliore architettura americana di ogni tempo".
Evidentemente già Edgar J. Kauffman si era reso conto dell'acuto ingegno dell'architetto a cui aveva deciso di affidare i lavori di progettazione della sua nuova "casa sulla cascata". Kauffman, infatti, ricco e dotto commerciante di Pittsbourgh, decise di lasciare campo libero all'artista Wright, offrendogli il sito su cui erigere l'edificio come se fosse una pagina bianca in attesa di un suo schizzo. Si trattava di un terreno ubicato nella foresta della Pennsylvania occidentale, un luogo dove la mano dell'uomo non era ancora arrivata a stravolgere la bellezza della natura. In questo contesto Wright volle inserire un edificio che, appunto, non sconvolgesse l'armonia naturale ma ne entrasse a far parte. Sulla base di questo principio nacque la casa sulla cascata.
Organizzata su tre livelli differenti, l'abitazione, ancora in ottimo stato grazie ai restauri degli anni Novanta, prevede una serie di terrazzamenti che fanno da velo al ruscello insinuatosi tra le mura dell'edificio. Le terrazze, con il loro coraggiosi aggetti e le loro tonalità che riprendono la stratificazione cromatica della roccia locale, sono state pensate per sembrare delle insenature naturali dove l'acqua si infrange e genera delle piccole ma spettacolari cascate. 
Il cemento è il materiale scelto per assolvere all'importantissimo ruolo strutturale che degli sbalzi di queste dimensioni si trovano a dover svolgere. Il color albicocca è la tinta scelta da Wright per far sì che il cemento si mimetizzasse nel paesaggio circostante. La pietra locale è l'elemento utilizzato per rendere quanto più possibile naturale e organica l'intera struttura.
Anche per l'interno Wright non si è discostato molto dall'esterno. 

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Fatta eccezione per il livello inferiore che, ospitando gli impianti e gli ambienti di servizio, ha più che altro una funzione basamentale nei confronti dell'intero edificio, la zona più "vivibile" della casa, quella che comprende soggiorno, sala da pranzo, cucina e zona notte, riprende nei concetti, ma con declinazioni diverse, le scelte effettuate per l'esterno. Rivestimenti in pietra e arredi in legno sono gli elementi predominanti in una successione di spazi dove nessun elemento, neppure il più piccolo, viene lasciato al caso. Ampie vetrate si aprono sulla natura che circonda la casa, creando quasi l'illusione di essere in comunione con essa, senza nessuno schermo che separi chi si trova all'interno da quello che c'è all'esterno. 
Gli ampi terrazzamenti permettono di godere appieno dello spazio aperto, oltre a generare un piacevole chiaroscuro in grado di animare e impreziosire i prospetti dell'abitazione. 
Le terrazze: tasto dolente per il povero Wright eppure, al tempo stesso, importantissimi elementi per l'edificio. I profondi aggetti e le dubbie capacità del cemento di sopportare una sollecitazione simile crearono, all'epoca della realizzazione, non pochi contrasti tra Wright e gli ingegneri, i quali dubitavano fortemente che la struttura fosse sufficientemente stabile. Chiamatelo pazzo, testardo o, semplicemente, genio, ma Wright decise di non piegarsi ad una serie di numeri e di seguire il suo istinto. Fece realizzare le terrazze così come le aveva progettate e, per dimostrare a tutti la sua sicurezza, quando gli operai iniziarono a rimuovere le cassaforme e i puntoni, l'architetto si fermò esattamente sotto la terrazza di dimensioni maggiori, rischiando di essere schiacciato dal peso del cemento nel caso di un eventuale cedimento. Wright vinse la sfida, perché le terrazze da lui disegnate fecero al loro creatore il regalo di non crollare. Dopo non molto tempo, si resero necessari degli interventi utili a rinforzare la struttura, ma, intanto, Wright aveva vinto la sua scommessa e dato uno schiaffo morale agli ingegneri che non credevano nella sua abilità.
Attualmente questo capolavoro dell'architettura contemporanea è, grazie al testamento di Edgar Kaufmann Jr., un bene pubblico, dal momento che il proprietario la donò alla Western Pennsylvania Conservancy. 

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"...Se ascolti il suono di Fallingwater ascolti la quiete della campagna...". Queste sono parole pronunciate dallo stesso Wright per descrivere il suo progetto come l'esito di una perfetta e tanto ricercata sintesi tra intervento dell'uomo e libertà della natura, tra una costruzione artificiale e la naturalezza di acqua, rocce, foglie e tronchi, tutti elementi che, in un certo senso, fungono anch'essi da arredamento di quella silenziosa e straordinaria casa sulla cascata.


sabato 19 luglio 2014

Solar Decathlon 2014: il cielo è azzurro sopra Versailles

Si era appena disputata la finale dei Mondiali di Calcio, in occasione dei quali la squadra italiana è tornata a casa a testa bassa, circondata dall'amarezza e dalle critiche dei tifosi che, nonostante sconfitte e fallimenti, continuano a seguire con ansia e trepidazioni le avventure della nostra Nazionale, quando da Versailles sono arrivate sino a noi le urla di gioia di un'altra squadra italiana: quella dell'Università Roma Tre.
Il cielo che si è aperto sul Solar Decathlon Europe 2014, tenutosi nella città della Reggia, si è tinto del colore che identifica le squadre italiane nel mondo, l'azzurro. Sono stati, infatti, gli studenti dell'ateneo romano ad alzare, quest'anno, la coppa dei vincitori di un concorso che lancia alle facoltà di architettura e ingegneria la sfida della progettazione di un edificio rispettoso delle regole dell'architettura ecosostenibile, autosufficiente e a risparmio energetico. 
Già dal principio l'Italia era stata elencata nella rosa delle favorite, ma nessuno degli autori del progetto si aspettava di occupare il gradino più alto del podio. 
Il Solar Decathlon, che solitamente è una competizione mondiale, si svolge, ad anni alterni, a livello continentale. Quest'anno, infatti, la città francese ha avuto l'onore di ospitare la competizione Europea, che ha visto fronteggiarsi ben 16 paesi diversi, ognuno rappresentato da uno o più atenei sparsi nel proprio territorio. La competizione prevede un'esperienza diretta che gli studenti autori dei progetti concorrenti devono effettuare direttamente sul campo. Coerentemente con l'intenzione di creare un'abitazione che sia di facile realizzazione, infatti, sono i ragazzi stessi coloro che, collaborando con le imprese, danno vita al progetto fino ad allora rappresentato soltanto su carta; sono essi stessi gli inquilini dell'abitazione off-grid che hanno ideato, così da poterne verificare l'efficienza e la fattibilità e sono questi stessi studenti a fare da "guida" ai visitatori che, durante il periodo di apertura dell'esposizione al pubblico, hanno la possibilità di vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani il prodotto che le università dei vari paesi partecipanti sono state in grado di creare.
Dopo una medaglia di bronzo nel 2012, il team della stessa Università Roma Tre, unico ateneo italiano in concorso quest'anno, ha giocato la sua carta vincente, che si chiama RhOME for DenCity.
Nato come un'alternativa all'abusivismo che, purtroppo, rappresenta una piaga del nostro paese, spiega l'architetto Chiara Tonelli, responsabile di RhOME for DenCity, il progetto si configura come una sfida a studiare approfonditamente, ed evidentemente con successo, il tema dell'edilizia sostenibile integrata con il paesaggio che la circonda e con il contesto sociale che lo caratterizza. 
Punto di partenza è stato la stima di una crescita della popolazione che, gradualmente, raggiungerà numeri troppo elevati perchè tutti possano godere di una vita dignitosa. La problematica si fa acuta maggiormente nelle grandi città. RhOME for DenCity riprende il concetto delle Smart City e costituisce una soluzione pensata per Roma, ma applicabile a qualsiasi contesto simile a quello della capitale. 
Estrapolata dall'aggregato urbano di cui si articola il progetto completo, l'abitazione presentata a Versailles rappresenta un prototipo organizzato secondo una configurazione che può essere modificata e personalizzata ogni volta in modo diverso, trattandosi di un edificio composto da elementi modulari. Modificando la disposizione degli elementi si ottiene anche ad una definizione spaziale diversa, senza per questo giungere a soluzioni prive di logica dal punto di vista architettonico. I moduli, infatti, sono pensati comunque secondo regole proporzionali ben precise, in modo tale che la loro combinazione variabile assecondi i possibili cambiamenti del progetto in fase di realizzazione, ma non porti ad imboccare la strada del disordine e della casualità.
Questo primo aspetto rappresenta uno degli elementi più innovativi del progetto vincitore. Altra novità è costituita dalla temporaneità dell'abitazione. Considerando, infatti, che al giorno d'oggi si tende sempre meno ad acquistare una casa e sempre più a cercare sistemazioni a carattere transitorio, RhOME è pensata come un edificio che, per varie ragioni, può essere utilizzato per un periodo limitato di tempo, prima di passare a un nuovo inquilino. 
In una competizione come il Solar Decathlon non si poteva non considerare l'aspetto ambientale ed energetico, che costituisce il punto di maggiore interesse per la giuria nel momento in cui deve decretare quale progetto meriti di essere il vincitore. E' per questo motivo che il team di Roma Tre ha ideato un'abitazione che non solo produce autonomamente l'energia di cui ha bisogno, ma questa è anche generata con fonti totalmente rinnovabili. La squadra si è concentrata, inoltre, su una serie di aspetti passivi, utili a ridurre gli sprechi energetici e a raggiungere più facilmente una condizione di benessere interno all'abitazione. A questo proposito sono stati studiati con molta attenzione la morfologia dell'abitazione, il suo orientamento sulla base di ombreggiamento ed esposizione alla luce solare, la ventilazione naturale e il ricorso, per la costruzione vera e propria, a materiali che, in questo senso, risultino particolarmente favorevoli. 
Il prototipo, costituito da una pianta quadrata (65mq) coperta da un tetto spiovente a doppia falda e da un sistema telaio - muro in stile Platform Frame, è stato realizzato, a Versailles, in soli cinque giorni, escluso l'ulteriore tempo necessario alla sistemazione dei mobili. 
Alla luce di questa serie di vantaggi strutturali e ambientali e considerando il grande successo che il progetto ha ottenuto durante la competizione europea, l'architetto Tonelli lancia una sfida, proponendo di adottare l'abitazione come soluzione nei quartieri urbani colpiti dall'abusivismo e dalla degenerazione dei tessuti. La docente invita, inoltre, a visualizzare dal vivo il progetto, desiderando che tutti si rendano conto dell'infinito valore di RhOME non soltanto in termini di prestigio per l'Italia che ha accolto il team dell'ateneo romano come un vincitore, ma anche per compiere quel salto in avanti che il sistema costruttivo può rappresentare per l'edilizia italiana del futuro.




M.L.



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